Lo Studio ha assistito una società di capitali sottoposta a sequestro preventivo ex artt. 321, commi 1 e 2-bis, C.P.P. per presunta intestazione fittizia a prestanome da parte dell’amministratore di fatto, accusato del delitto di corruzione ed asseritamente partecipe ad associazione per delinquere di stampo mafioso.
La Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza del Tribunale del Riesame, ha affermato il duplice principio secondo cui, quanto al sequestro preventivo “impeditivo”, per l’ablazione dell’intero patrimonio aziendale è necessario stabilire il nesso di pertinenza tra i singoli beni sequestrati e il reato per cui si procede, indicare quali elementi di fatto consentano di ipotizzare un duraturo e non occasionale asservimento dell’intero patrimonio sociale alla commissione di altri fatti corruttivi, quali elementi denotino un pericolo attuale e concreto di commissione di altri fatti e, da ultimo, che siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza della misura.
Inoltre, quanto alla presunta “mafiosità della società”, la Suprema Corte ha spiegato che occorre chiarire in che modo essa sia controllata dal sodalizio mafioso, con quali sostanze sia stata costituita, quale sia la consistenza della sua attività e, nel caso in cui la società non sia di per sé mafiosa, quale sia la correlazione con l’associazione per delinquere e quale il nesso tra l’intero patrimonio aziendale sequestrato e la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa ascritta al corruttore.